Il
territorio comunale di Àndalo si estende fra
il gruppo Paganella-Gaza ad oriente e il gruppo di
Brenta ad occidente, sulla sella che divide la valle di Non dalle
valli Giudicarie, segnando lo spartiacque fra il torrente Noce e
il fiume Sarca, e quindi fra il bacino idrografico dell'Adige e
del Po.
L'abitato è composto da parecchi gruppi di case
(masi),
originariamente isolati ed ora in parte uniti tra loro dalle
costruzioni più recenti. L'altitudine è di circa
1000 metri, e approssimativamente 1000 sono anche gli attuali
abitanti. Molto di più sono quelli che soggiornano ad
Àndalo per turismo, sia in estate che in inverno.
Sono pochi i testi che trattano la storia di Àndalo e i documenti antichi sono speso lacunosi. Diamo qui alcune notizie tratte da "Àndalo: Guida geografico-storico-turistica" di Antonio Zieger (Tipografia Dossi, Trento, II edizione 1994). I masi che costituiscono la struttura originaria dell'abitato e che mantengono tuttora la loro denominazione primitiva, sono disposti lungo le vecchie strade carreggiabili. Essi sorsero e si svilupparono intorno al XII secolo, come case singole soggette ad oneri feudali, abitate da servi della gleba. Il Zieger enumera 13 masi: Toscana, Casanova, Doss, Bortolon, Mónech, Clàmer, Fovo, Ponte, Melchiori, Perli, Ghèzzi, Cadín, Pegorar. Il maso Toscana è il più antico. Altro due masi, Colìn e Bortolin furono abbandonati pochi decenni dopo essere stati colpiti dall'epidemia di peste del 1630. I pochi uomini che, alla fine del medioevo, abitavano i masi di Àndalo soltanto durante l'estate, si vennero col tempo a stabilire sul luogo. Nulla di preciso si può dire sul numero degli abitanti nei primi secoli. Fin verso il 1600 però gli abitanti non superavano il numero di 150-180. Le prime famiglie residenti a Àndalo provenivano probabilmente dagli antichi centri abitati del Banale, la zona confinante con il territorio di Àndalo e Molveno a sud, nelle valli Giudicarie. A spingere le popolazioni del Banale fino alla sella di Àndalo era la possibilità di sfruttare la ricchezza di legname del luogo. I primi masi erano anche la dimora estiva del bestiame del signore feudale. Lentamente gli stessi iniziarono a costruire dimore stabili dissodando a poco a poco il terreno intorno alle case e riducendolo a campo. I primi nuclei abitativi, i masi della montagna di Àndalo, come essa era sempre chiamata, si vennero formando approssimativamente tra il 1100 e il 1150. Le case di abitazione erano costruite in modo rustico, secondo la tipologia tipica delle case di montagna in ambiente alpino. In genere la parte inferiore veniva costruita in muratura fino all'altezza del primo piano, mentre la parte superiore era tutta di legno, suddivisa in due o tre ripiani che servivano come deposito del fieno. Alcune case di questo tipo sono ancora visibili, malgrado lo sviluppo edilizio recente in stile moderno. Il tetto di regola era di scandole, fermate da sassi lungo le linee principali degli spioventi. Nella vicina zona del Banale anticamente si usavano anche tetti di paglia. Il lento formarsi dei masi tra i boschi della montagna di Àndalo era accompagnato da una espansione verso nord dei confini del Banale. Come naturale conseguenza, la giurisdizione ecclesiastica si sviluppò in dipendenza dell'antica Pieve del Banale, e più precisamente alla parrocchia di Tavodo. La cura d'anime fu esercitata direttamente quindi dal Banale, zona di provenienza graduale degli abitanti. Questi ebbero dapprima a raccogliersi, per le funzioni religiose, nel cosiddetto glesiòt di Molveno, una cappella rimasta illesa dopo la distruzione del locale castello, nel 1306. Una prima cappella, intitolata a San Paolo, venne costruita ad Àndalo verso il 1450, vicina al maso Toscana, il più popolato della zona. Nel 1537 viene menzionata la cappella di S. Paolo in Andel, la quale, insieme con quella di S.Vigilio a Molveno, aveva un cappellano proprio, ma senza una sua casa di abitazione. Agli inizi dello stesso secolo gli abitanti di Andalo decisero di scegliere come patroni del villaggio i Santi Vito, Modesto e Crescenza. Dopo alcuni decenni, anche nei documenti ufficiali, la chiesa divenne intitolata a S. Vito. Un'altra chiesetta, dedicata a S. Rocco e comunemente indicata come la glesiola, venne costruita alla fine del '500 non lontana da quella già esistente. Tale chiesetta, a differenza della prima ora del tutto scomparsa, è ben conservata anche ai giorni nostri. Il fatto di dipendere dalla distante parrocchia di Tavodo creava un notevole malcontento sia ad Andalo che a Molveno. Le rivolte contadine (guerra rustica), che devastarono mezza Europa agli inizi del '500 e che coinvolsero pesantemente anche il Trentino, ad Andalo e Molveno si tradussero in un maldestro tentativo di assaltare la canonica del Banale per saccheggiarla, nel maggio del 1525. Passata la tempesta, i potenti di turno pensarono bene di accontentare parte delle rivendicazioni locali, accordando una cappellania curata per i due villaggi, sufficientemente autonoma dalla Pieve del Banale. Dal 1545 la parrocchia di Tavodo aveva cominciato a tenere un registro dei nati che si interrompe, per la parte riguardante Andalo e Molveno, nel 1574, anno di inizio della cappellania curata autonoma per i due centri. Si dovette attendere poi il 1590 per riprendere la registrazione dei nati e dei morti, dato che il cappellano locale si mostrò poco solerte e solo in quell'anno si adeguò all'obbligo di tenere i registri secondo le decisioni del Concilio di Trento. Il XVII secolo iniziò bene per Andalo. La crisi economica e i tumulti del secolo precedente erano solo un ricordo. Gli abitanti cominciavano a ricavare rendite dalle ricchezze silvo-pastorali del luogo e miglioravano le loro condizioni di vita. Nel 1623 la comunità si dotò di una sua Carta di Regola, simile a quella dei villaggi vicini e conforme agli usi tradizionali, con "li antichi suoi ordeni et sue antiche usanze". L'assemblea della regola si teneva, come già avveniva da tempo, presso il grande faggio (fou) del maso omonimo, nei giorni della Ceriola (2 febbraio), di Santa Massenza (30 aprile) e di San Martino (11 novembre) di ogni anno. A seguito dell'aumentare della popolazione e dei bisogni, anche la cappellania in comune con Molveno si rivelò insufficiente. A metterne in luce i problemi fu soprattutto l'epidemia di peste del 1630, che ad Andalo fece fortunatamente poche vittime rispetto ad altre zone, ma che rese evidente la difficoltà nel disporre della cura d'anime senza un sacerdote residente permanentemente sul luogo. Finalmente, nel 1652, venne assegnata ad Andalo una cappellania curata con un cappellano residente. Nel 1671 la cappellania diventa Curazia. Il villaggio si ingrandisce e viene decisa la costruzione di una nuova chiesa. Il luogo scelto è il maso Fovo, essendo più centrale rispetto al maso Toscana ed essendo anche il luogo dove, da sempre, si tenevano le riunioni della regola. La nuova chiesa di S. Vito viene inaugurata nel 1783.
Per secoli Andalo subì vari problemi connessi al fatto di essere luogo di confine tra zone a prevalente dominio tirolese, a nord, e zone del principato vescovile, a sud. Tale dualismo era evidente nel rapporto tra potere temporale e religioso. La giurisdizione civile, sotto forme diverse, fu generalmente tirolese, con un lungo periodo di dipendenza dalla famiglia Spaur, avente sede nel castello di Belfort presso Spormaggiore (nell'immagine sopra se ne vedono i ruderi, da una litografia del 1855). Al contrario, la cura d'anime era controllata dal decanato del Banale, dipendente da Trento. Dopo il periodo turbolento delle invasioni napoleoniche, gli austriaci, nuovi padroni del territorio, pensarono bene di riorganizzare quanto era possibile. Nel caso di Andalo e Molveno, la soluzione adottata fu quella di assegnare le due parrocchie al decanato di Mezzolombardo. Finì così il lento distacco di Andalo dai primitivi luoghi d'origine, la Pieve del Banale, da cui proveniva buona parte dei primi abitanti, a vantaggio di una maggior coesione con la Valle di Non, Mezzolombardo e la Val d'Adige. |